Caivano è totalmente immersa nel cosiddetto “triangolo della morte”, insieme a Giugliano ed Acerra, per le percentuali apocalittiche di patologie oncologiche o, specificamente connesse allo smaltimento e sversamento illecito di rifiuti e roghi tossici. Tanto quanto sancito dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2021, su mandato della Procura di Napoli Nord. Lungo i cordoni interminabili delle cinture stradali, che uniscono province e periferie, tra Napoli e Caserta, viene costruito tempo addietro, il Parco Verde. Zone cresciute come funghi e dilatatesi in maniera del tutto irrazionale, aldilà di qualsiasi progettazione e programmazione di sostenibilità urbanistica/sociale/ambientale/infrastrutturale. Spesso, infinite foreste di cemento, senza verde, senza servizi, che finiscono per essere nuclei abitativi di città dormitorio denuclearizzate. La creazione ancestrale del quartiere avviene poco dopo il terremoto del 1980, dove per esigenze abitative dei quasi 300.000 sfollati provenienti per lo più da Napoli e periferia, dal governo di Roma, con la famosa legge 219 e quasi 2 mila miliardi di soldi stanziati, inizia lo scempio urbanistico, antropologico di una ghettizzazione sociale che non avrà precedenti nella storia recente, come risultato fallimentare rispetto le scelte della politica. Nel tempo, da residenze abitative di emergenza, divengono squarci e ferite di cemento stabili ed affollate, in tutto l’hinterland napoletano e non solo. Sorgono di per sè, in territori già depressi, senza nessuno studio di compatibilità e sostenibilità sociale ed ambientale, spesso a ridosso delle periferie, lontano dai monumenti e dalla fastosità della storia passata. Come a voler nascondere ombre ed invisibili, polvere sotto al tappeto che la politica smemorata non può rifagocitare dall’oblio del passato, mentre divulga punti sulla transizione ecologica europea o sul diritto alla salute, al lavoro. A parte la retorica delle campagne elettorali, le sorti del Parco Verde di Caivano, dal punto di vista criminologico, cambiano, quando l’attenzione dei media e l’azione giudiziaria quanto militare dello Stato, si occupano della faida di Scampia. Da quel momento serve una sede logistica più defilata, lontano dagli articoli a quattro colonne dei giornaloni, delle trasmissioni tv, e delle serie televisive enfatizzanti e dal seguito plebiscitario. Nel tempo, e con la colpevole indifferenza o assenza istituzionale, questo quartiere, posizionato poco dopo l’uscita dell’asse mediano, diviene una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa. Non passa giorno, che non riceviamo dai media notizie di operazioni delle forze dell’ordine finalizzate al contrasto di attività illegali localizzate in quelle zone. Casermoni di edilizia popolari, manutenzione inesistente, tetti zeppi di eternit, abbandono scolastico, omertà. Si attende ancora una riqualificazione mai avvenuta, un risanamento, ma anche una possibilità di vita normale. Per tutti. Che quel “verde” ossimoro dei muri scrostati dall’incuria e dall’oblio delle promesse mai mantenute, dalla retorica dialettica in cui si crede possa esistere un male ed un bene, nettamente delineati all’inferno. Che quella nomenclatura cromatica, sia coscienza e memoria, di una vita sul Fronte di Guerra, che grida solo giustizia ed opportunità per un futuro migliore.
Massimiliano Costantino Esposito